I rifiuti rappresentano una delle principali pressioni create sull’ambiente dall’uomo e sono uno degli elementi che maggiormente influenzano la qualità della vita nelle nostre città. La produzione di rifiuti costituisce una conseguenza inevitabile di qualunque attività umana. Risulta fisicamente impossibile immaginare un sistema produttivo, per quanto avanzato, che non debba fare i conti con i sottoprodotti di scarto del proprio processo. Per questo, lo sviluppo di sistemi di gestione dei rifiuti efficienti e le “best-practice” per la gestione dei rifiuti, rappresentano un punto chiave nella definizione di una strategia ambientale che sia veramente sostenibile, non solo al livello globale, ma sopratutto al livello territoriale. E’ tuttavia chiaro che il successo nel trattamento e nella riduzione dei rifuti risiede nel miglioramento dell’efficienza del sistema gestionale, sviluppando processi di riciclaggio e recupero. Quindi perseguire obiettivi strategici per affrontare e risolvere le problematiche connesse ai rifiuti richiede da una parte una riduzione in termini quantitativi e di pericolosità, dall’altra lo sviluppo di modelli di gestione integrata, con l’obiettivo della prevenzione e della riduzione dell’impatto ambientale connesso al complesso ciclo di gestione rivolti ad azzerare i rifiuti da discarica, che ancora oggi rappresenta la chiusura del cerchio della complessa filiera dei rifiuti a livello europeo. Le novità legislative intervenute sul sistema di gestione dei rifiuti hanno incentivato il passaggio da un modello “tutti i rifiuti a discarica” ad un modello strategico complesso integrato di prevenzione e recupero che ricorre ad un articolato sistema logistico e tecnologico finalizzato a soddisfare le quattro “R”:“Riduzione, Riutilizzo, Riciclaggio ed infine Recupero energetico” promuovendo così i Sistemi Integrati di Gestione dei Rifiuti (da ora in poi SIGR), frutto di questa rinnovata consapevolezza dell’insostenibilità dei vecchi sistemi di gestione.
3.1 La storia della gestione dei rifuti
I servizi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti hanno fatto la loro comparsa nei paesi occidentali con un notevole ritardo rispetto all’oriente, dove il Giappone introduceva questo tipo di servizi nei principali agglomerati urbani già nel XVII secolo. Nel 1848, approfittando di una grave epidemia di colera che colpisce la città di Londra, si arriva per la prima volta all’approvazione del Public Health Act (Legge sulla salute pubblica), che prevedeva espressamente l’istituzione obbligatoria di un servizio pubblico di smaltimento dei rifiuti. Nella seconda metà del XIX secolo, sull’esempio di Londra, molte città densamente popolate organizzarono servizi pubblici di raccolta e smaltimento dei rifuti. Lo smaltimento dei rifiuti nelle principali città europee che lo adottavano, avveniva in ogni caso con modalità molto semplici, ovvero riversando i rifiuti nel mare o nei fiumi o trasportandoli in territori confinanti, lontano dalla vista dei cittadini residenti. A partire dagli anni settanta del XX secolo, l’aumento incontenibile delle merci ed in particolar modo di quelle “usa e getta”, l’affermarsi della società dei consumi e la diffusione del benessere economico, rendono non sostenibile questo approccio approssimativo di produrre tanti rifiuti per poi “nasconderli”.
Il modello di crescita economica che si afferma in questo periodo, si basa sul continuo approvvigionamento delle risorse naturali da immettere nei cicli produttivi per poi scaricare gli scarti nell’ambiente, provocando lo sfruttamento intensivo e completo del nostro pianeta oramai incapace di assorbire e smaltire i rifiuti prodotti dalle attività umane (Meadows, D.H., Meadows, D.L. e Randers, J., 1992).
Nel 1975, riprendendo un indirizzo già formulato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’allora Comunità Europea, oggi Unione Europea, fissò i principi che avrebbero dovuto regolare una corretta gestione dei rifiuti, stabilendo una gerarchia tra di essi. Al primo posto veniva la riduzione della produzione di rifiuti, poi il riciclo della materia di cui sono composti; seguiva il recupero energetico (cioè l’incenerimento dei materiali combustibili o la fermentazione anaerobica di quelli organici, con utilizzo energetico del biogas prodotto). Questa fase avrebbe dovuto riguardare solo il materiale non altrimenti recuperabile; infine lo smaltimento finale, cioè la discarica, era riservato esclusivamente ai residui dei precedenti processi. Questa gerarchia è stata ripresa in tutte le norme ambientali degli Stati membri, e poi nelle leggi regionali, nei piani provinciali e comunali di gestione dei rifiuti e in quasi tutti i contratti di servizio stipulati tra i Comuni e le aziende, pubbliche o private, incaricate dell’igiene urbana, ma non è mai stata applicata nella sua forma originaria (Viale, 2008).
Solo da pochi anni si è cominciato a pensare seriamente alla riduzione dei rifiuti, il punto cruciale e iniziale della gerarchia comunitaria. Produrre meno rifiuti è possibile, come hanno dimostrato molte industrie per quanto riguarda gli scarti di lavorazione, e alcune città virtuose nell’ambito dei rifiuti solidi urbani, impegnandosi a fondo per ridurre la loro produzione. Alla fine dello scorso secolo, il diffondersi del riciclo dei rifiuti, ha dato l’impulso a studi ed indagini di carattere scientifico e tecnologico sulla produttività dei materiali per creare beni di consumo che hanno la possibilità di essere riutilizzati in varie forme, molto più efficienti rispetto alla sostituzione in tronco del bene di consumo.
Tutte queste iniziative si intersecano con l’affermarsi, nella seconda metà degli anni novanta, di una nuova politica in materia denominata “Zero Waste”. La politica “Zero Waste” costituisce il punto di arrivo di una complessa riflessione che coinvolge i più disparati rami scientifici, economici, tecnologici ed umanisti. L’economista inglese Robin Murray, uno dei primi teorici di questa politica, afferma che l’obiettivo da perseguire deve essere non un altro modo di riciclare ma un radicale cambiamento di prospettiva a partire dalla produzione delle merci.
Quanto detto fin ora significa che il problema dei rifiuti deve essere affrontato partendo dal principio numero uno della politica comunitaria, ovvero dalla riduzione della produzione degli stessi, che coincide con il principio numero uno della politica Zero Waste, ovvero riprogettare i beni di consumo in modo eco- compatibile ed efficiente per favorirne il rimpiego.
La riduzione dei rifiuti urbani è però anche il frutto di uno stile di vita e di consumi più sobri e di una maggiore attenzione negli acquisti, comprando solo ciò che serve e che contiamo di usare veramente, e prevedere il riuso o pensare alle opportunità di riciclo di quello che non ci serve più.
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